“Altri mondi erano possibili?” Giornata di studio su Genova 2001 – video

Mercoledì 23 giugno 2021 si è tenuta la giornata di studio dal titolo “Altri mondi erano possibili? Genova 2001 nella storia e nelle pratiche dei movimenti” , organizzata dall’OPI e dal Dottorato in Scienze Politiche dell’Università di Pisa, e coordinata dai proff. Massimiliano Andretta (Unipi) e Alessandro Breccia (Unipi). Dopo i contributi del prof. Federico Romero (IUE) e della prof.ssa Donatella della Porta (SNS), sono intervenuti nella seconda sessione  Domenico Chirico, Alberto De Nicola, Paola Imperatore, Walter Massa, Massimo Torelli, Alberto Zoratti.

A questo link è possibile accedere alla registrazione dell’incontro, che ha preso le mosse a partire dal documento di seguito presentato:

 

Temi di discussione collettiva su Genova e dintorni

La tavola rotonda che stiamo organizzando vuole essere una occasione di riflessione intorno ad alcuni nodi legati all’attivismo nei movimenti venuti a galla in occasione della protesta contro il G8 a Genova nel 2001. Abbiamo provato ad organizzare un’occasione di confronto in cui potessero avere voce diverse “anime” e diverse generazioni dell’attivismo senza avere nessuna pretesa di creare un microcosmo rappresentativo e senza chiedere ai partecipanti di parlare a nome di qualche gruppo, movimento, organizzazione, ma soltanto del proprio punto di vista. La discussione si svolgerà sul modello del “focus group”, una sorta di intervista interattiva collettiva dove i partecipanti discutono alcuni o tutti i temi posti al centro della discussione. L’idea è quella di creare in “laboratorio” una sorte di discussione “franca” tra attivisti a beneficio soprattutto dei partecipanti ma anche di chi osserva. Abbiamo pensato di sviluppare la discussione in due fasi. All’inizio verranno posti all’attenzione dei partecipanti una serie di temi che secondo noi vale la pena di affrontare. Precisiamo sin da subito che i partecipanti potranno decidere di trattare solo alcuni di questi temi, al limite anche uno solo, o anche proporre un altro tema ritenuto rilevante e discuterne. Una volta illustrati i temi ci sarà un primo round di interventi da parte dei partecipanti, i quali avranno 5-6 minuti circa per esporre il proprio punto di vista. Alla fine del primo turno (durata circa 50 minuti), si aprirà la discussione al pubblico che potranno fare le loro domande ai partecipanti. Le domande verranno raccolte tutte insieme e riconsegnate ai partecipanti per uno secondo turno di interventi in cui nel rispondere ad alcune delle domande del pubblico potranno riprendere alcune riflessione consegnate dagli altri partecipanti. Anche in questo caso il tempo concesso sarà di 5-6 minuti. Alla fine del secondo turno, cercheremo in una decina di minuti di mettere in luce quelli che ci saranno sembrati i punti di riflessione più interessanti/critici.

La prima questione è il nesso che si sviluppa tra l’attivismo degli anni ’90 e quello espresso a Genova, quali elementi di continuità e quali elementi di rottura/novità, anche rispetto alle identità, ai temi espressi e alle pratiche di militanza.

La seconda questione è sicuramente la legacy, la memoria di Genova, che cosa è rimasto nell’attivismo successivo e nella discussione interna dei movimenti. Evidenziare anche gli aspetti problematici di questa memoria: limiti e opportunità

La terza questione riguarda il “nuovo internazionalismo” dei movimenti, maturato dopo l’Ottantanove e venutosi a manifestare in maniera paradigmatica a Genova. In questo caso ci sembra emergano i nodi delle relazioni tra gli ambiti di attivismo, delle connesse identità e dei livelli (locale/globale) della mobilitazione. In particolare, potrebbe essere utile riflettere sul parallelismo che sta emergendo nell’analisi e nella progettualità di parte dei movimenti tra la situazione determinata dalla crisi pandemica e le grandi mobilitazioni che precedettero Genova (es. campagna contro i brevetti sui farmaci anti-AIDS / campagna No profit on pandemic, ecc.)

La quarta è la questione della democrazia. Da una parte il nodo della riforma o della creazione ex novo di istituzioni a livello internazionale capaci di interagire con i livelli decisionali domestici e locali in connessione con i processi partecipativi. Dall’altra la riflessione sulle forme di democrazia interna ai movimenti culminata nei Forum Sociali (di tutti i livelli) che superassero i limiti della delega ma anche quelli dell’assemblearismo. Fino a che punto questa riflessione è ancora dentro i movimenti di oggi e di nuovo qual è stato in positivo e in negativo il contributo di Genova su questo.

La quinta ed ultima questione, riguarda l’attivismo radicale: in che modo è possibile, se lo si ritiene necessario, esprimerlo nell’attuale quadro politico?

“Altri mondi erano possibili?” Giornata di studio su Genova 2001

Come si arrivati a, cosa è stato, cosa ha rappresentato e cosa ci ha lasciato il movimento che nel 2001 portò a GENOVA migliaia di giovani a protestare contro “i grandi del pianeta”? A venti anni di distanza ne parliamo con Federico Romero e Donatella della Porta prima e con gli attivisti di ieri e quelli di oggi dopo.

La giornata di studio online dal titolo “Altri mondi erano possibili? Genova 2001 nella storia e nelle pratiche dei movimenti” si terrà il giorno 23 giugno 2021 dalle ore 10 alle ore 17.

Per partecipare clicca qui (Piattaforma MS Teams)

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L’incontro al vertice tra Unione Europea e Turchia: una prospettiva diversa del ‘sofagate’

L’incontro al vertice tra Unione Europea e Turchia: una prospettiva diversa del ‘sofagate’

di Enrico Calossi (OPI – docente di Relazioni Internazionali – Studi Europei)

Dell’incontro tra i vertici europei e i vertici turchi se ne è parlato molto, basandoci sulla foto numero 1. Ma cosa sarebbe successo se fosse stata pubblicata la foto numero 2, cioè la versione originale?

Ricapitoliamo i punti salienti del dibattito di questi giorni

Martedì 6 aprile il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen hanno incontrato il presidente turco Recep Tayyp Erdogan e… il ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu, che, come notiamo, non appare nella foto numero 1, quella pubblicata da larga parte della stampa. In questi giorni la foto tagliata e senza Çavuşoğlu ha suscitato un notevole dibattito sulla stampa italiana, in particolare, e in quella europea, in generale. Numerose sono state le reazioni che hanno legato la disposizione dei tre interlocutori alle recenti scelte di Ankara di uscire dalla convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta alla violenza sulle donne. Il dibattito si è spontaneamente allargato per criticare le posizioni del partito presidenziale AKP, che sul tema della condizione della donna in Turchia ha impresso una svolta in senso tradizionale/conservatrice. In alcuni paesi Europei le reazioni sono state più forti. Sicuramente in Belgio, patria del presidente del Consiglio Europeo Michel, per essere sembrato impacciato e insicuro nel prendere le difese della sua collega Von der Leyen. In Italia le critiche sono arrivate da tutto lo schieramento politico: sia da destra, che una volta di più ha voluto criticare la possibilità dell’ingresso della Turchia nell’Unione, sia dal centrosinistra, che ha prontamente e largamente sostenuto i diritti della Von der Leyen sia anche dalla sinistra non liberale che ha criticato non tanto la disposizione dei leader nella sala quanto piuttosto l’opportunità stessa di trattare con un leader ritenuto ai margini della legittimità democratica. Ma l’impatto maggiore, in Italia, si è avuto per la reazione che ha avuto il Presidente del Consiglio Mario Draghi ad una domanda ricevuta durante la conferenza stampa di giovedì 8 aprile: “Mi dispiace per l’umiliazione che la presidente Von Der Leyen ha dovuto subire […] Con questi dittatori, di cui però si ha bisogno per collaborare, devi essere franco nell’esprimere la diversità di visione”. Ma è veramente questo la regione che sta alla base della reazione di Ursula von der Leyen?

La situazione in Turchia

Ovviamente con queste righe non voglio assolutamente minimizzare la portata e gli effetti che questa recente fase della presidenza Erdogan su tanti diritti che sembravano acquisti anche in Turchia. Voglio sicuramente ricordare i licenziamenti di decine di migliaia di dipendenti pubblici a seguito del colpo di stato del luglio 2016 (molti dei licenziati sono accademici e dipendenti delle università) e neanche voglio minimizzare la svolta in senso tradizionalista per quando riguarda i diritti delle donne nel paese anatolico. Così come desta preoccupazione l’assertività turca nella Siria del Nord e nelle zone, anche all’interno dello stato turco, abitate dalla minoranza (ma là maggioranza) curda. A questo si accompagnano anche i tentativi di mettere fuori legge il partito democratico socialista HDP, in larga parte espressione della minoranza curda. Ma sono state spese parole su questi aspetti durante l’incontro nel vertice euro-turco? Non mi pare. Ci si è concentrati in realtà su altri temi, sicuramente importanti, come il ruolo della Turchia nella gestione dei migranti (che in larga parte fuggono proprio dalla Siria per dirigersi in Europa), le potenzialità in campo energetico (la Turchia rappresenta un ponte naturale e essenziale tra l’Europa e il Medio-Oriente e il Caucaso, ricchi di risorse energetiche), e sicuramente si è discusso anche delle tensioni che da anni caratterizzano i rapporti tra Turchia, da un lato, e due membri dell’Unione (Grecia e Cipro), dall’altro.

Cambiamo il punto di vista, verso Bruxelles

Dunque, provando a spostare il punto di vista su ciò che conosco meglio, cioè i rapporti intra-europei, mi preme segnalare che la maggioranza dei temi discussi nell’incentro al vertice hanno a che fare con la sicurezza dell’Unione Europea. E qui sorge la difficoltà. Forse si stava parlando di accordi commerciali tra Turchia e Unione Europea? Forse si è parlato dei vari capitoli ancora aperti nelle trattative per l’adesione (sì, perché la Turchia è ancora un paese candidato, anche se oramai non sembra più interessare a nessuno) all’Unione? Non mi sembra. Eppure quest’ultimi temi sarebbero di diretta responsabilità della Commissione. Mentre sicurezza, gestione dei migranti, anche ruolo in Siria, sono tutti aspetti della Politica Europea di Sicurezza Comune (PESC) che spettano al Consiglio Europeo (e al Consiglio dell’Unione Europea). In questo sta la particolarità dell’esecutivo bicefalo dell’Unione: in politica estera gli aspetti soft spettano alla Commissione, l’hard power al Consiglio Europeo. Quindi, in quell’incontro, Michel, era chiaramente il capo-delegazione dell’Unione, così come Erdogan era il capo della delegazione turca. Secondo il protocollo, tra l’altro concordato anche tra gli sherpa UE e quelli turchi, il ministro degli esteri turco e il presidente della Commissione avevano un ruolo laterale. Ed è ciò che è stato plasticamente rappresentato dal sofà.  Da questa prospettiva, dunque la reazione della Von der Leyen sembra più da interpretarsi come una critica della Commissione verso il Consiglio Europeo, che, ricordiamolo, rappresenta gli interessi dei governi nazionali dell’Unione. Quindi, ancora una volta, una querelle tutta interna allo scontro “più sovranismo” vs “più intergovernativismo”, oppure “più Europa” o “più Stati membri”? Ovviamente, la Von der Leyen, da politica esperta e di lungo corso, usa le armi che sono a disposizione. Il movimento internazionale che chiede più diritti alla donne è pienamente in campo, e Erdogan ne rappresenta sicuramente un avversario: perché non sfruttare quella carta? Ma sono molto più convinto che l’obiettivo fosse tutto interno a Bruxelles, non tanto Ankara. Chi avrò domani l’ardire di mettere il presidente della Commissione in un angolo, quando si parlerà di sicurezza con gli Stati Uniti, la Russia o la Cina? Del resto la storia dell’evoluzione dei rapporti tra le istituzioni europee è proprio questo: un alternarsi di avanzamenti (o passi indietro) sanciti dai trattati o conquistati direttamente sul campo. Così come, giova ricordarlo, la presidenza del Consiglio Europeo ha conquistato molte posizioni proprio sotto la gestione dell’ex presidente Donald Tusk, scioccamente a volte visto che interesse e apprezzamento da alcuni federalisti, che forse erano più innamorati dell’aplomb del leader e non hanno visto quanto in realtà stesse minando ai fianchi gli spazi di agibilità della Commissione.

Rimarranno ruggini tra Turchia e Europa, tra Turchia e Italia?

Who knows? Ma proviamo a fare previsioni. Ovviamente Ankara non ha preso bene le reazioni (largamente presenti sulla stampa piuttosto che nei canali ufficiali) provenienti dal campo europeo. Soprattutto non è stata apprezzata la posizione italiana, forse per le scintille che sono in campo da tempo sul futuro della Libia (e non scordiamoci che 110 anni tra regno d’Italia e impero ottomano ci fu una guerra per quella che allora fu definita come una “scatola di sabbia”), ma anche per la dichiarazione a sorpresa del premier Mario Draghi. La reazione in quel caso non si è fatto attendere ed era quasi scontata. Nonostante la frattura sembra si sia rapidamente ricomposta, la diplomazia turca non poteva di certo perdere l’occasione di mentovare le vittorie elettorali del leader dell’AKP. Lo stesso ministro Çavuşoğlu ha prontamente dichiarato che Draghi ha “superato il limite con affermazioni populiste, oltre tutto da un presidente non eletto, a differenza di Erdogan eletto dal popolo”. E in effetti voglio spendere due parole sulla dichiarazione rilasciata en-passant da Draghi durante una conferenza stampa che, tra l’altro, si concentrava su altri aspetti. Alcuni hanno parlato subito di inesperienza di Draghi in ambito diplomatico. E se per quanto l’ex-presidente della BCE sia stato sicuramente abituato a pesare le parole prima di pronunciarle (con il solo “whatever it takes” fu in grado di riaccendere la ripresa dei mercati nel 2012), può sicuramente essere che le conferenze da Presidente del Consiglio siano più difficili da gestire, perché si spazia tra temi sicuramente eterogenei tra loro. Oppure, si potrebbe ipotizzare anche un’altra interpretazione. Non sarebbe una novità quella di vedere capi di governo in difficoltà in patria (come lo è chiaramente il governo Draghi in questa difficile fase di lotta alla pandemia e di campagna vaccinale in ritardo) provare ad esportare l’attenzione dell’opinione pubblica verso l’estero. Senza scomodare esempi classici, come Giulio Cesare o il borbonico francese Carlo X, è ormai appurato in letteratura che uno scontro in campo internazionale può favorire un meccanismo di “rallying around the flag”. Ed è lecito pensare che un mercato politico come quello italiano, nel quale le fortune politiche e le lune di miele tra leader ed opinione pubblica cambiano rapidissimamente, anche la scelta di cercare volutamente lo scontro con l’esterno non è da scartare a priori. Ovviamente lascio al lettore la scelta di quale ipotesi sia da considerarsi come la più probabile.

Per il «bene del paese»?

La rivista Jacobin Italia ha recentemente ospitato un articolo sulla formazione del nuovo governo italiano a cura di Paola Imperatore (OPI) dal titolo “Per il «bene del paese»?” .  

L’articolo è gratuitamente disponibile a questo link.