di Enrico Calossi, OPPR
L’elezione di Roberta Metsola ha rappresentato un cambiamento del quadro politico rispetto al contesto che due anni e mezzo fa consentì l’elezione del recentemente scomparso David Sassoli. Apparentemente non sembra ci siano novità, perché ormai dagli anni ottanta il parlamento europeo è guidato da una presidenza popolare, per una metà della legislatura, e da una presidenza socialista, per l’altra metà. O viceversa. E anche questa volta la prassi della Grand Coalition (o Grosse Koalition, se si vuol dar credito ad una crescente germanizzazione dell’Unione) tra Popolari, Socialisti e Liberali appare confermata. Solo nella legislatura 1999-2004 il patto tra Popolari e Socialisti non fu rinnovato perché i Popolari preferirono accordarsi con i Liberali. Infatti, nella prima parte della legislatura, la presidenza spettò alla popolare Nicole Fontaine, nella seconda parte, al liberale Pat Cox.
Le prime difficoltà nel ‘core’ dei partiti europei e l’elezione di Sassoli
Nel 2014, all’inizio della nuova legislatura, il socialista Martin Schulz fu eletto presidente del Parlamento con una confortevole maggioranza che rifletteva l’accordo tra Popolari, Socialisti e Liberali. Nel gennaio del 2017 però il consueto passaggio di testimone tra Popolari e Socialisti non avvenne in modo indolore. Infatti, in quell’occasione ci furono sei candidati: di fatto ogni gruppo, tranne i Liberali, presentò un proprio candidato. Le regole del PE, poi, impongono alla quarta votazione la limitazione delle candidature ai due più votati nella terza votazione. Così il popolare Antonio Tajani poté battere il socialista Gianni Pittella. Chiaramente il sistema di partito era di fronte ad una rottura, mascherata però dal fatto che l’alternanza tra Socialisti e Popolari si era comunque realizzata.
Nel 2019, la tradizionale alleanza sembrava poter essere rinnovata. Infatti, David Sassoli fu esplicitamente designato in seguito al tipico accordo tra Popolari, Socialisti, e Liberali, definito spesso nella letteratura specialistica come ‘core’ del sistema partitico a livello europeo. Però, i risultati furono diverso. Infatti, Sassoli, nonostante avesse sulla carta il sostegno di 444 deputati, ricevette al primo turno solo 325 voti, sotto la soglia dunque dei 332 voti necessari per essere eletto. Agli altri candidati, il conservatore di ECR Jan Zaharadil, alla verde Ska Keller e alla candidata della sinistra del gruppo Gue-Ngl, Sira Rego, andarono rispettivamente 162, 133 e 42 voti. La candidata verde ottenne dunque 59 voti in più rispetto a quanti fossero i membri del gruppo Verde/Regionalista (74 deputati) e il conservatore ottenne, addirittura, ben cento voti in più rispetto all’entità del gruppo di riferimento (i Conservatori e Riformatori Europei / ECR) che constava di 62 seggi.
Tabella 1: La composizione dei gruppi politici al Parlamento Europeo, 2019 e 2022
Famiglia Politica | Nome gruppo | Acronimo | Seggi 2019
Pre-Brexit |
Seggi 2022
Post-Brexit |
Popolari | Gruppo del Partito Popolare Europeo | EPP | 182 | 177 |
Socialisti | Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici in Europa | S&D | 154 | 144 |
Liberali | Renew Europe | RE | 108 | 101 |
Verdi e regionalisti | Verdi e Alleanza Libera Europea | G-EFA | 74 | 72 |
Destra Sovranista | Identità e Democrazia | ID | 73 | 70 |
Conservatori | Conservatori e Riformatori europei | ECR | 62 | 64 |
Sinistra | The Left | GUE-NGL | 41 | 39 |
Non iscritti | Non iscritti | NI | 57 | 39 |
Servì dunque un secondo turno di votazione. Questa volta Sassoli riuscì a migliorare il proprio risultato, passando a 345 voti (cioè 11 più del necessario), ma ancora ottenendo molto meno dei 444 voti a disposizione dei gruppi popolare, socialista e liberale. E pertanto, il 3 luglio 2019, Sassoli divenne presidente del parlamento europeo, anche se il risultato rappresentava un chiaro segnale del peggioramento dei rapporti tra i tre gruppi.
Per quanto riguarda le 14 Vicepresidenze del Parlamento Europeo, quattro andarono ai Popolari, tre ai Socialisti, due rispettivamente ai Verdi e ai Liberali e uno rispettivamente alla Sinistra e ai non iscritti (in particolare al Movimento 5 Stelle).
I gruppi parlamentari e la scelta delle cariche monocratiche dell’Unione
Le difficoltà nei rapporti tra i gruppi del ‘core’ riemersero pochi giorni dopo quando, il 16 luglio 2019, la proposta del Consiglio Europeo di eleggere Ursula Von Der Leyen alla Presidenza della Commissione fu approvata dal Parlamento Europeo. Anche questa volta, la Von Der Leyen avrebbe potuto attendersi i 444 voti a disposizione di Popolari, Socialisti e Liberal. In realtà i voti a favore furono solo 383, cioè appena nove sopra il quorum di 374 voti, nonostante anche la nutrita pattuglia parlamentare del Movimento 5 Stelle (nel gruppo dei Non Iscritti) avesse dichiarato di votare a favore della Von Der Leyen. Questo fatto fu particolarmente interessante per gli osservatori italiani, che infatti coniare “maggioranza Ursula” lo schema a sostegno della Von Der Leyen, anche per sottolineare lo spostamento del M5S su posizioni filo-europeisti. Comunque, anche in questa occasione, seppure non al livello di quanto successo quindici giorni prima per Sassoli, i tre partiti non riuscirono a assicurarsi tutti i voti a disposizione.
Nell’autunno del 2019 continuò la designazione delle posizioni monocratiche del sistema politico europeo. La scelta dell’Alto Rappresentante per la Politica Estera confermò, con la designazione dello spagnolo Josep Borrell, il tradizionale predominio su questa figura a vantaggio dei socialisti (gli alti rappresentanti precedenti, Solana, Ashton e Mogherini, erano tutti socialisti). Però la scelta di un liberale, il belga Charles Michel, alla carica di Presidente del Consiglio Europeo, fece ipotizzare la nascita di una saldatura tra Liberali e Popolari più solida rispetto a quella ormai quarantennale tra Popolari e Socialisti.
Così si alimentarono rumors di una probabile rottura del patto tra socialisti e popolari, fino al punto che, nell’autunno del 2021, sembrava ormai molto probabile una ricandidatura di David Sassoli alla presidenza. Tra le varie ragioni, oltre alla cristallizzazione delle difficoltà tra socialisti e popolari, figurava anche l’aver speso gran parte dell’ultima semi-legislatura nel concentrare l’impegno della presidenza quasi unicamente a garanzia dell’agibilità fisica e politica del parlamento in tempi di Covid Questo aveva spinto Sassoli e i socialisti a tentare la strada della nuova candidatura. In effetti, sulla carta, se Sassoli fosse stato in grado di intercettare non solo gli scontati voti dei Socialisti e della nutrita pattuglia del M5S, ma anche buona parte dei voti dei Verdi, della Sinistra e soprattutto dei Liberali, sarebbe riuscito nell’impresa della rielezione. Anche perché, dall’altro lato, i Popolari non avrebbero potuto ampliare molto la propria base elettorale, temendo di doversi alleare solo con gli euroscettici sovranisti dei gruppi ID e ECR.
A metà dicembre, però, anche per il peggioramento delle sue condizioni di salute, Sassoli dichiarò ufficialmente di ritirare la sua candidatura, con l’obiettivo di “non spaccare” la “maggioranza Ursula”, cioè, per l’appunto, l’alleanza tra Popolari, Socialisti, Liberali e Pentastellati. La strada appariva dunque spianata per una candidatura dei Popolari, i quali già a novembre 2021 avevano rotto gli indugi e avevano proposto la giovane maltese Roberta Metsola alla presidenza.
Roberta Metsola ottiene voti anche dalla destra euroscettica e sovranista
A inizio gennaio si stava quindi prospettando lo stesso schema del 2019, in base al quale Metsola era la candidata del ‘core’ rappresentato da Popolari, Socialisti e Liberali. E ancora come nel 2019, Verdi, Sinistra e Conservatori avrebbero tutti presentato un proprio nome di bandiera. Probabilmente, a seguito di questo schema, i Socialisti sarebbero stati anche pronti a non votare (ricordo che il voto è segreto) in massa per la Metsola. Sia per rendere pan per focaccia per lo sgarbo incassato nel luglio 2019 da Sassoli (i 100 voti in meno), ma anche perché le posizioni chiaramente anti-abortiste della politica maltese mal collimano con gli ideali politici dei socialisti europei.
Ma il fatto nuovo, che ha scardinato gli schemi, è stato l’inaspettato ritiro del candidato conservatore e l’esplicita presa di posizione di alcuni euroscettici di destra, sia tra i conservatori più ‘soft’ di ECR, guidati da Giorgia Meloni, sia tra quelli più ‘hard’ di Identità e Democrazia (ID), a favore della Metsola, come ad esempio ha fatto esplicitamente Matteo Salvini. Il risultato infatti è stato superiore a quanto ragionevolmente la Metsola poteva aspettarsi: di fronte ad una platea potenziale di 422 voti provenienti dai tre partiti ‘core’, la giovane neo-presidente ha ottenuto 458 voti, quindi 36 più del previsto. Ciò dimostra che è stata in grado di pescare anche nell’elettorato euroscettico e conservatore. Probabilmente l’apporto del voto conservatore è stato anche maggiore dei 36 voti in più. Infatti, visto che le altre due candidate alternative, la verde Kuhnke e ancora Rego della Sinistra hanno ottenuto 47 voti in più rispetto ai loro rispettivi 72 e 39 voti previsti, è molto probabile che i voti in più ottenuti dalle due candidate provengano da deputati socialisti o liberali. Dunque questi 47 voti sarebbero dovuti a mancare alla Metsola. Ma sarebbero stati ampiamente bilanciati dall’arrivo di voti euro-scettici e conservatori. Dunque, se in più occasioni in passato si era ventilata la possibilità di un allargamento del ‘core’ dei gruppi del PE verso l’area ambientalista e verde, questa volta l’allargamento è stato a destra. Resta da capire quanto ciò sia episodico o quanto possa avere conseguenze più durature.
Un altro segnale da cogliere arriva dall’elezione dei nuovi vicepresidenti del Parlamento. Ovviamente si inverte il rapporto di forza tra Popolari e Socialisti, perché chi detiene la presidenza ottiene, come bilanciamento, meno vice-presidenti. Quindi da gennaio 2022 i Socialisti hanno cinque vicepresidenti, mentre i Popolari ne hanno tre. Si rafforzano però i Liberali, passando da due a tre e i conservatori di ECR eleggono un primo vicepresidente, che non avevano nel 2019. In compenso, mentre la Sinistra continua ad eleggere un suo vicepresidente, i Verdi passano da due a uno e i non-iscritti (in particolare il Movimento 5 Stelle) perde il suo unico vicepresidente. Una dinamica quindi che sembra confermare uno slittamento verso destra degli equilibri interni al Parlamento europeo.
Le prospettive future
Alcuni leader nazionali hanno provato quasi subito a reagire a questo quadro politico potenzialmente nuovo. Uno di questi è stato il presidente francese Emmanuel Macron, azionista di maggioranza del gruppo liberale Renew Europe, che ha proposto di inserire il diritto di scelta in materia di aborto come elemento fondamentale della Carta dei Diritti dell’Unione Europea. Anche nell’area socialista è in corso un dibattito critico verso la scelta del sostegno alla Metsola. Bisogna tenere di conto, però, che nelle dinamiche di elezione delle cariche interne al Parlamento Europeo il criterio del continuum destra-sinistra è solo uno dei vari presenti. Sicuramente rimane in campo anche la dicotomia tra pro-integrazione ed euroscetticismo, ma parlando del complesso contesto continentale bisogna tener conto anche degli equilibri tra le nazionalità ed altri elementi sociodemografici. La scelta di una presidente, giovane, donna, proveniente da un Paese del Mediterraneo e dalla ‘nuova Europa’ post grande allargamento del 2004, disegnano un quadro di ‘simpatie’ verso la Metsola che va al di là delle classiche contese destra/sinistra o integrazionisti/antieuropei. Inoltre, il quadro istituzionalmente complesso e sempre in divenire dell’Unione ricorda che il Parlamento Europeo ha necessariamente bisogno di un grado di coesione elevato per essere in grado di contrattare le quote di potere che, al di là della lettera dei trattati europei, spettano al Parlamento stesso, al Consiglio dell’Unione, al Consiglio Europeo, alla Commissione e agli Stati.
Ovviamente le prossime sfide che presto chiameranno il Parlamento a discutere ed eventualmente a decidere su temi quali la gestione dei fondi del recovery fund, crescita delle disuguaglianze, inflazione, proprietà intellettuale dei brevetti sui vaccini, cambiamento climatico e transizione ecologica, ci faranno capire se i nuovi assetti istituzionali e la recente e parziale apertura verso le forza euroscettiche e sovraniste si tradurranno in uno slittamento verso destra anche delle scelte approvate dal Parlamento stesso.